“Sulle Rive della Neva”, in russo Na Beregach Nevy, è il titolo di una famosissima, anche se all’epoca della sua pubblicazione (il libro fu edito a Washington nel 1967 ) oggetto di dibattiti e controversie, raccolta di memorie della poetessa e scrittrice russa Irina Vladimirovna Odoevceva (1895-1990). L’opera, purtroppo non tradotta in italiano, fu composta a Parigi, dove l’Autrice era emigrata nel 1923 dopo aver lasciato l’Unione Sovietica (vi farà ritorno solo nel 1987) e ben si può definire il grande affresco di un’epoca, capace di restituirci a perfezione l’atmosfera culturale, e la complessità delle dinamiche storico-letterarie che sono proprie dei momenti di transizione, di una San Pietroburgo-Pietrogrado/(Leningrado) in cui si muovono intellettuali e scrittori, tra i molti di cui si narra, del calibro di Nikolaj Gumilev, di cui l’Autrice sarà l’allieva prediletta, Osip Mandel’štam, Andrej Belyj, Ivan Bunin. L’Autrice non concepisce, né immagina, questo memoriale come un’autobiografia, scrive infatti: “Questa non è la mia autobiografia, non è il racconto di chi io fossi…” e prosegue scrivendo: “Non scrivo di me, o per me, ma di quanti mi fu dato conoscere Sulle rive della Neva”. Parole che, ancora una volta, riconfermano la centralità della Neva, il fiume che di San Pietroburgo è insieme culla e nutrice.
La Neva, grande fiume nordico, corpo vivo dai molteplici bracci…fiume dalle acque scure, come le intravedrà Anna Achmatova, torbide di riflessi violacei, allietate da fugaci carezze estive di sole, che si riverberano sui palazzi che le fanno corona…Un fiume capace ancora oggi di attirare a sé, così come tre secoli fa attrasse Pietro, con la sua forza che è al contempo violenta e datrice di vita. Forza foriera di alluvioni, e generatrice di città. Madre, perché ogni fiume, in russo, è donna, sia esso Volga, Neva o Moscova. Madre e donna delle acque, che accoglie fondamenta capaci di dare la luce al suolo, di pietrificarlo nei suoi ghiacci, di travolgerlo in un repentino disgelo.
Ammaliata dalle sue acque, dal frangersi dei suoi flutti sui graniti, la città di Pietro rimane come sospesa, nei secoli, affacciandosi alle sue rive, ed i ponti si fanno trama ed ordito, a racchiudere un riflesso di cielo che d’estate non conosce notte e d’inverno non conosce giorno, un cielo che neanche il ghiaccio e le nevi possono scalfire, che si fa custode all’eternità della forma che prendono le acque e alla materia degli edifici che vi si stagliano. Natura indomita e genio dell’uomo. Chi passeggia nel silenzio di un lungofiume, chi ne costeggia i canali, chi contempla il riverbero di mille e mille fioche luci notturne accese, chi a bordo di una lenta lodka si smarrisce nell’intrico delle sue acque per poi ritrovarsi, come stupito, ad incontrare la Grande Neva che si fa mare, non può che perdersi, o sentirsi perduto, e lasciarsi sedurre dal suo canto.
E se questo fiume, di suo, è già poesia, molti ne furono e ne sono i cantori. Qui si propongono, in una nostra traduzione, dei versi di Fëdor Ivanovič Tjutčev (1803-1873) facenti parte del cosiddetto Denis’evskij Cikl, raccolta di liriche dedicate all’amante Elena Aleksandrovna Denis’eva.
Gabriele Tecchiato
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